La vita è un circo, di quelli antichi, con la donna cannone, l’uomo di ferro, il domatore di tigri e i pagliacci che piangono sempre. Capitolo a parte sono gli equilibristi, gli altri personaggi con un po’ di tecnica e allenamento chiunque può interpretarli, mentre i funamboli sono gli autentici protagonisti dell’esistenza. La verità è la fune tesa e stretta dove l’alluce e il secondo dito del piede si abbracciano cinicamente. Le relazioni sono il bilanciere che agevola il funambolo quando è ubriaco d’amore, senza reti e protezione. Sotto le vesti sgargianti ossa rotte e lividi determinano l’audacia del più forte, ovvero del più equilibrato che doma la follia ma che senz’essa giammai camminerebbe sulla fune.

Nulla si farebbe se non ci fosse il pubblico, nessun personaggio si vestirebbe se non fosse per aggradare chi ci osserva, nessuna fune, nessuna tigre si affronterebbe.

Il tendone vuoto ovatta le nostre urla fino a tacerle. Soli in quell’oscurità fredda e taciturna cadono i decori. Questo tempo pacífico ci fa paura, il silenzio genera frastuono e allora il circo torna a far rumore.