“Sarai mai veramente buona, anima mia, semplice, una, nuda, più luminosa del corpo che ti avvolge? proverai cosa significa amare e voler bene davvero? Sarai mai pienamente soddisfatta, senza sentir bisogno di nulla, senza rimpianti, senza alcun desiderio di cose vive o inanimate che possono procurare piacere, di maggior tempo per godere più a lungo, di luoghi, di regioni o di climi più confortevoli e di uomini più congeniali? Ti accontenterai dello stato in cui ti trovi in quel momento, paga di ciò che ti offre il presente, convinta che tutto ti viene dagli dèi e che sia un bene qualunque cosa essi si compiacciano di decidere e di dare per la conservazione di un essere perfetto, buono, giusto, bello, che procrea, unisce, include e abbraccia tutte le cose che si dissolvono per generare altre simili a loro? Diverrai mai tale da poter vivere con uomini e dèi senza muovergli alcuna accusa e senza riceverne a tua volta da loro?”
Così inizia il decimo capitolo dell’unico libro che ci ha lasciato l’imperatore filosofo Marco Aurelio. Trovo, nelle domande, la dimensione spazio temporale che ci consente di decidere, di evolverci, di pensare e percepire e rispondere la cosa giusta, ma anche e sopratutto la difficoltà di attuarla. E così, proprio come il grande Marco Aurelio anche se infinitamente più piccolo, mi trovo in bilico tra la verità e la realtà.