“Voglio arrivare dritta al punto: entro un massimo di 10 giorni morirò. Dopo anni di continue lotte, sono svuotata. Ho smesso dimangiare e bere da un po’ di tempo, e dopo molte discussioni e valutazioni, ho deciso di lasciarmi andare perché la mia sofferenza è insopportabile. Respiro,ma non vivo più”
Così ha scritto la diciassettenne Noa Pothoven pochi giorni prima di lasciarsi morire.
Le hanno praticato l’eutanasia o si tratta di suicidio?
E’ questo il dibattito che sta nascendo dalle ceneri di questa tragedia. La finta morale della nostra inciviltà ci spinge a concentrarsi sulla domanda eutanasia si o no, diritto alla vita e alla morte e altre questioni che i pavoni aspettano impazienti per mostrare i colori del loro piumaggio che si apre dal buco opposto alla bocca.
Noa è morta perché la nostra morale è fredda, stupida, lapidaria e incosciente.
La domanda che dobbiamo farci è perché Noa è morta e non come sia morta. Le cicatrici profonde e indelebili dei tre stupri subiti dalla ragazzina l’hanno colpita a morte, ma i terribili sfregi erano davvero mortali?
Sono state utilizzate solo le gelide tecniche della psicologia? Alcun religioso le è stato vicino?
E l’amore? Qualcuno l’ha amata? Sinceramente amata?
La preoccupazione che deve nascere dopo una tragedia come questa, è come poter salvare la prossima vittima di abusi. Questa è l’unica domanda etica, morale sulla quale dobbiamo tutti, questionare.
Il diritto di por fine alle proprie sofferenze deve essere anticipato dal diritto di vivere serenamente, anche dopo che qualcuno ci abbia usato come buco per vomitare la propria disumanità. E’ dovere di tutti lottare affinché chiunque possa conoscere l’amore, l’innamoramento, anche quando ferito mortalmente.
Se Noa fosse stata amata, tanto da insegnarle ad amare a innamorarsi della vita, avrebbe trovato la forza di trasformare le cicatrici in tatuaggi?
Perché Noa è morta? Questa è l’unica domanda lecita che dobbiamo porci!